Il regista Oliver Stone concentra la sua attenzione sulla figura carismatica del presidente venezuelano Hugo Chávez. E’ davvero la prepotente forza “antiamericana” che i media ci hanno fatto credere? Oliver Stone, amato e contestato allo stesso modo, autore di critiche sempre feroci al sistema americano. Per oltre tre decenni ha sfidato pubblico e storici a riconsiderare gli eventi: dalla guerra nel Vietnam all’assassinio di John Kennedy, al sistema di Wall Street, oggi questo tre volte premio Oscar esplora in un documentario l’ultima rivoluzione sudamericana. Una rivoluzione tutt’ora in corso, spiega il regista, ma della quale il mondo non sembra essere ben consapevole. Per paradosso, proprio la scomparsa di Chavez, che ne è stato il principale artefice, oggi la porta alla ribalta col suo carico di contraddizioni, le limitazioni democratiche contro un evidente miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni più povere. Oliver Stone afferma che c’è qualcosa che qui, nell’Occidente europeo-nordamericano abbiamo frainteso, qualcosa che ci sfugge circa la profondità delle trasformazioni in atto. Ed è quello che cerca di argomentare attraverso le interviste, o meglio, le conversazioni informali coi presidenti ed ex presidenti del continente latinoamericano, a partire da Hugo Chavez e passando dalla Bolivia di Evo Morales, dal Brasile di Lula da Silva e poi Cristina Kirchner (Argentina) e suo marito ed ex-presidente Nestor Kirchner, e ancora Fernando Lugo (Paraguay), Rafael Correa (Ecuador) e Raul Castro (Cuba). Il viaggio di Stone comincia nel gennaio 2009 proprio dal Venezuela di Hugo Chavez, e dopo aver battuto le strade del continente approda, tra le altre ad una conclusione: i media americani hanno demonizzato Chavez per difendere gli interessi di quel sistema economico globale che i governo del Sudamerica cercano di cambiare. E si propone di sfatare i miti che i media americani diffonderebbero a piene mani. Chavez non era un dittatore, dice Stone, perché ha ripetutamente vinto le elezioni; e se è vero – dice Stone – che il Paese fa i conti con un’inflazione al 21 per cento, è altrettanto vero che i salari minimi hanno superato il tasso d’inflazione, che i beni di prima necessità hanno subito aumenti inferiori e che è aumentata la disponibilità di beni e servizi per gli strati inferiti della popolazione. Dipinto come carismatico ma pragmatico (peraltro tutte le testimonianze dei leader latinoamericani concordano in positivo), Stone arriva a dire anche che la rivoluzione bolivariana di Chavez opera per aumentare la base di partecipazione democratica alla vita pubblica. Nessuno può negare che Oliver Stone sia un uomo di parte, ma questo film è importante perché ci racconta le ragioni di un mondo che fatichiamo a considerare. Un film da guardare senza pregiudizi, senza dare per oro colato le tesi del regista, ma neppure di quelli che negano il pesante quanto insopportabile interventismo statuiniense nel continente sudamericano (lo stesso Chavez nel 2002 fu deposto brevemente da un golpe tacitamente appoggiato dagli USA) e che negano le possibilità ad un intero continente di compiere le proprie scelte nell’indipendenza e nell’autonomia. Nel nome dei diritti dei popoli. (a.d)