Arianna ha diciannove anni ma ancora non ha avuto il suo primo ciclo mestruale. Gli ormoni che il suo ginecologo le ha prescritto non sembrano avere effetto sul suo sviluppo, a parte un leggero ingrossamento del seno che però le provoca fastidio. All’inizio dell’estate, i suoi genitori decidono di riprendere possesso del casale sul lago di Bolsena dove Arianna era cresciuta fino all’età di tre anni e in cui non era ancora tornata. Durante la permanenza nella casa, antiche memorie cominciano a riaffiorare, tanto che Arianna decide di rimanere anche quando i genitori devono rientrare in città. I pomeriggi passano lenti e silenziosi, mentre Arianna comincia a indagare sul proprio corpo e sul proprio passato; l’incontro con la giovane cugina Celeste – così diversa e femminile rispetto a lei – e la perdita della verginità con un ragazzo della sua età, spingono Arianna a confrontarsi definitivamente con la vera natura della propria sessualità.
Arianna, allora, è un film che ci riguarda. Perché, mettendo in scena il tema dell’ermafroditismo, mostra il limite che il potere esercita, sempre e comunque, nei confronti di chi, consapevolmente o meno, lo minaccia. È un film che ci riguarda perché mostra come l’ordine e il senso che diamo costantemente al mondo e a noi stessi per poter sopravvivere sia solo un sistema di difesa per non guardare a quella sovrabbondanza di senso che il mondo e noi stessi siamo: per sottrarci alla paura di non avere più gli strumenti per interpretarci, o di vedere in faccia la spiazzante fluidità dell’identità. L’ermafrodito è l’incarnazione meravigliosa e ambigua di questa sovrabbondanza e la vittima predestinata di ogni rigore: è l’immagine non polarizzata, né A né B, l’immagine dialettica incarnata. Il film prova a mettere in scena un’oscenità (ossimoro possibile solo nel mondo contemporaneo) e la lotta ingaggiata tra l’ermafrodito e il potere. Distribuito da Luce Cinecittà